recensione ciascuno
Un aneddoto enigmatico e sibillino, di quelli che piacevano tanto allo scrittore di Racalmuto: un bel giorno, durante la recita del Mortorio uno spettacolo sacro messo in scena di Venerdì Santo, particolarmente diffuso nella Sicilia antica , Patò che impersonava Giuda , scomparve senza che se ne seppe più nulla. Di fatto si tratta di un racconto senza un vero e proprio narratore: la storia prende vita attraverso la ricostruzione di una galassia eterogenea di finti documenti d'epoca - dalle lettere ufficiali in ostico burocratese, agli scritti aulici della stampa locale, fino ai pizzini composti da semianalfabeti - unendo una scrupolosa ricerca filologica con una creatività linguistica portentosa per rendersene conto basta leggere la filastrocca di Patò, un florilegio di allitterazioni e giochi di parole degna di Queneau . La scomparsa di Patò non è quindi un testo nel senso stretto del termine, ma piuttosto una moltitudine fluttuante di testi, da cui scaturisce una polifonia di registi, dialetti, gerghi che si fronteggiano gli uni contro gli altri, mettendo in risalto l'irriducibile diversità di anime contrastanti che popolava la caotica Sicilia di allora non poi troppo diversa da quella di oggi . La sua formazione teatrale gli consente, inoltre, di valorizzare soprattutto la recitazione degli interpreti, tra cui si distinguono numerosi rappresentanti della scuola siciliana dal sanguigno all'istrionico , senza contare le piccole partecipazioni di mostri sacri del palcoscenico come , e . Dal punto di vista strettamente cinematografico, invece, non si riscontrano particolari accorgimenti stilistici, se non nella parte conclusiva, in cui viene rappresentata anche dal punto di vista visivo la ricostruzione investigativa del maresciallo e del delegato di polizia.
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